CONSIDERAZIONI SUL RAPPORTO DI CAUSALITA’ NEL DIRITTO PENALE E NEL DIRITTO CIVILE

27.06.2014 14:00
Il tema in questione costituisce un antico ossimoro ( ossia quella figura retorica che consiste nel riunire in modo paradossale due termini contradditori in una stessa espressione, es. “ghiaccio bollente”) dell’intero ordinamento penale e civile (CC. 18/04/2005,n.7997), e, la questione, tuttora, non cessa di impegnare studiosi ed operatori del diritto, tanto più che il progresso scientifico pone nuovi interrogativi contestualmente al grado di affermazioni che esprime in ordine alla dicotomia: prova storica/prova scientifica.
Ad avviso dello Scrivente occorre procedere ad una lettura unitaria del concetto giuridico di “causalità”, nel senso che la nozione eziologica della medesima è unica sia in diritto penale sia in diritto civile, mentre diversa è la disciplina in ordine alla valutazione delle relative conseguenze giuridiche.
Intanto va sottolineato che si registra una divaricazione tra chi (Forchielli,196,9) sostiene come il giurista non crei la “causalità” ma soltanto elabori il criterio di rilevanza e di valutazione giuridica del fatto causale in vista degli scopi normativi tipici del diritto,e, chi (Pucella,2007,3) ritiene che l’individuazione di un nesso eziologico implica un giudizio qualificativo e non meramente descrittivo, per cui la relazione causale, com’è noto agli assertori della “causalità giuridica”,non appartiene al mondo degli eventi giuridici quanto a quello dei giudizi.
Lo Scrivente si riconosce in quest’ultima teoria, avuto riguardo al dato, pressoché insuperabile, che l’accertamento del fatto , è un’operazione “a posteriori” compiuta dal Giudicante in ordine ad una rievocazione di una storia congruente che permette di stabilire la sussistenza, o meno, della responsabilità civile o penale del prevenuto in ordine al fatto controverso.
Quanto al fatto: esso , inteso come accadimento giuridico , rilevante per il diritto , va inculcata nel “ corpus” normativo in cui è “sistematizzata” detta questione : l’asserto prenominato è , per lo Scrivente , suscettivo di tale “ strutturazione “ siccome lo connota:
1.: nella sua ontologica rappresentazione (ossia nell’individuazione dell’essenza dello stesso , nei suoi elementi logici , che permettono di descriverlo , in astratto , prima di ascriverlo ad un dato fenomenico) , quale raffigurato , nella realtà effettuale , dalla parte che ne sostiene la sua indiscutibile e consistente valenza ;
2.: nella sua storica manifestazione (ovvero nell’identificazione , sola , ed , esclusiva , del “ chi “ , del “ come ” , del “ quando “, abbia avuto una relazione ed una correlazione tale da interagire in modo da determinare la verificazione dello stesso), perché è esulante dal contesto di un giudiziale vaglio , l’investigazione su un fatto estraneo al processo ( più , propriamente , su un fatto alieno ad esso e avulso dalla materia del contendere per cui è processo) , quali che siano i risultati della sua causazione ed alla seriazione degli effetti risultanti dal medesimo ;
3.: nella sua giuridica configurazione (ossia nella sua sussumibilita alla norma) , in difetto del quale sarebbe inconferente perché irrilevante , in relazione al “ thema probandum “ , e , ininferente , in ordine al “ thema decidendum “ .
Per quanto attiene la struttura unitaria della “causalità” vanno evidenziati questi capisaldi eretti dalla Suprema Corte Civile:
l’applicazione dei principi generali di cui agli artt.40 e 41 C.P., temperati dalla “regolarità causale”, ai fini della ricostruzione del nesso eziologico va adeguata alla peculiarità delle singole fattispecie normative di responsabilità civile.
Il diverso regime probatorio attiene alle forme di accertamento giudiziale la quale è successiva al verificarsi del dato ontologico del fatto dannoso e che può perfino mancare,
i principii generali che regolano la causalità del fatto sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt.40 e 41 del Codice Penale e dalla “regolarità causale” in assenza di altre norme nell’ordinamento in tema di nesso di eziologico ed interagendo essi principii di tipo logico e conformi a massime d’esperienza,
se il giudice penale ha escluso il “fatto materiale” ovvero il nesso causale tra l’azione e l’evento, il giudicato penale è ostativo ad un diverso apprezzamento dei fatti da parte del giudice civile, perché, altrimenti, si creerebbe in questa sede una ricostruzione non solo diversa bensì antitetica di quella del giudice penale,non potendo il giudizio di responsabilità prescindere dall’esistenza e dall’affermazione del nesso causale (CC.10/06/91,n.6553),
il vincolo, in sede civile, derivante dal giudicato penale concerne i fatti nella loro realtà oggettiva e fenomenica presi in considerazione in sede penale (condotta, evento e nesso di causalità), mentre, al contrario, il giudice civile è del tutto libero di valutare quei fatti storicamente accertati nel giudizio penale in via autonoma (CC.02/11/08,n.14328),
il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è quello per cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio,remoto) che abbia generato, o, anche, soltanto contribuito a generare tale obiettiva relazione con il fatto, debba considerarsi “causa” dell’evento (CC.18/04/05,n.7997),
ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta, attiva od omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al momento nel quale agito, escludendosi,in tal modo, la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili (CC.SEZ.UN.,11/01/08, n.581).
Più propriamente definiscesi :
- ” rapporto di causalità” la relazione causale che abbraccia una qualsiasi entità, naturale( es. l’evento di morte nell’omicidio ) ovvero spirituale ( es, perdita di reputazione conseguente all’attività del diffamatore) e quella , a sua volta , corporea o immateriale, contenente:
1) la sola forza creatrice idonea a produrla in via autonoma,
2) l’efficacia parzialmente in grado di provocarla , 
3) l’efficacia non produttiva , meramente predisponente il concretarsi della prima ,
- “nesso di causalità”: il legame , rilevante per il diritto, per cui può dirsi che quell’azione od omissione in grado di influire “ stricto iure” nella produzione dell’evento.
Va , debitamente, considerato ogni ripercussione che la tematica assume in termini di “ causalità” , comunque e dovunque la si collochi , compenetrando , “ more geometrico” , quanto descrive la proiezione di ogni lato del problema; infatti, in tema di valutazione del danno , esistono diversità come pure identità fra il tipo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, assodato che nella Relazione al Re sul codice civile al n.802 si legge, in commento all’art.2058 : “Al pari del creditore , nelle obbligazioni ex contratto , il danneggiato, in quelle per fatto illecito, ha diritto, innanzitutto alla reintegrazione in forma specifica della situazione patrimoniale anteriore”, il che si traduce nelle ipotesi: l’una di cui all’art.2058 C.C. e l’altra dell’art.2056 C.C. , ove la prima si assume in dipendenza di un’ interpretazione estensiva oltre che sui lavori preparatori , mentre la seconda si basa attraverso il richiamo all’art.1226 C.C. che indica il criterio per la valutazione equitativa del danno tutte le volte che sia impervia la determinazione per altra via ;
- il che finisce per esprimere questa diversità di regolazione “ quoad effectum “ , ossia che l’illecito extra-contrattuale obbliga a risarcire tutti i danni con il solo limite promanante dalle disposizioni in punto causalità di cui agli aa.1223 e 1227 C.C., mentre l’inadempimento, che non provenga dal dolo, comporta l’obbligo risarcitorio esclusivamente per quanto attiene il danno prevedibile all’epoca in cui è sorta l’obbligazione, sostenendo che l’irrilevanza del criterio della prevedibilità del danno in punto illecito deriva e da un argomento letterale = ossia l’omesso rinvio all’art.2056=) e da quanto traggasi dai lavori preparatori, in dipendenza dello scopo del legislatore di accogliere il principio della graduazione del risarcimento in relazione alla colpa;
- è di piana evidenza , peraltro , come la giurisprudenza di legittimità riconosca come il mancato richiamo dell’art.1225 C.C. dall’ art. 2056 liceizzi una maggiore risarcibilità del danno per la responsabilità extracontrattuale rispetto a quella contrattuale (CC.1988/1366) ;
si distinguono due ambiti di “causalità”, ossia:
“ causalità materiale “ , nell’accezione di elemento in grado di acclarare = oppure no = il legame tra il fatto “ naturale” e l’evento conseguenza del primo, o, meglio , il legame, di tipo naturalistico che congiunge “ fatto” ed evento ,ed , il cui accertamento è presupposto per l’imputazione della responsabilità,
-“ causalità giuridica” , nell’accezione di accertamento, idoneo a configurare oppure no, una relazione significativa sul piano eziologico tra fatto ed evento, in modo da pervenire ad un giudizio di meritevolezza e fondatezza dell’attribuzione delle conseguenze dannose all’autore dell’illecito, o meglio: presupposta già risolta l’indagine sull’imputazione del fatto, il collegamento , ulteriore , tra l’evento di danno e le sue conseguenze di ordine patrimoniale, non può che individuarsi pervia di un criterio unitario che , di là dalle parti descrittive delle “opinions” , registri il termine “ causation”, senza intrecciarsi con vaghezze di sorta, bensì affermando che :
- la “ causation ” contiene una parte descrittiva ed una parte prescrittiva,e ,pertanto , sotto il concetto di “ causation ” si cela la combinazione di un “ frastico ” ( che si riferisce ai fatti necessari perchè l’uso di “causation ” sia tollerabile ) e di un “ neustico ” ( che si riferisce al criterio cui si rifà l’operatore per decidere di applicare la norma in esame ) ,
- l’esistenza del nesso causale è una questione di fatto,scomponibile in due parti, appunto come detto, e la verifica del rapporto tra fatto generatore di responsabilità ed evento per esso e da esso prodottosi, è una “questione di fatto” , mentre tutte le questioni che , “ postea ” , sorgono in tema di qualificazione del nesso di causalità , attengono a “ questioni di diritto “ .
Può, più specificamente, riferirsi a diverse teorie in punto “causalità” ossia:
A ) naturale ( “ conditio sine qua non ” ), ovvero causalità in termini naturalistici : è causa di un evento l’insieme delle condizioni necessarie e sufficienti a produrlo ( tale teoria non è condivisibile, a detta di Chi scrive, poiché esaspera il concetto di causalità umana , anche, quando vi sia stato concorso di condizioni estranee; tale teoria, definita, pure, come “ procedimento di eliminazione mentale”, da un lato contiene riscontri immediati e inconfutabili(ad es. A con la propria auto investendo B lo uccide), e, quindi, impone di asserire che , in mancanza dell’urto, la morte di B non si sarebbe verificata, d’altro lato viene a confrontarsi con casi meno usuali rispetto ai quali abbracciare tale teoria non acquieta lo scrupolo dell’operatore del diritto (per es.: è fabbricato e messo in commercio un preparato ingerito da donne in gravidanza, quest’ultime partoriscono figli con malformazioni congenite, ma non è chiaro , secondo scienza , se il meccanismo di produzione del fenomeno né la valenza della sostanza ingerita sotto l’aspetto dell’idoneità della medesima alla produzione degli effetti. In tal caso non è bastevole applicare il procedimento prefato, visto che mancano gli strumenti a livello di conoscenza che sono presupposto al procedimento stesso, dato che non è noto se corrisponda ad una regola dell’esperienza che , in presenza di certi antecedenti, conseguono proprio quelli effetti dannosi verificatisi; così l’efficacia “euristica” del principio della “ condicio sine qua non” si appalesa irrefutabilmente nella realtà;
B ) umana : quest’ ultima è causa dell’evento quando ne costituisca una “ conditio sine qua non ”, e , l’ evento stesso non sia dovuto all’intervento di fattori eccezionali , ossia, poiché l’uomo può prevedere gli effetti che derivano da determinate cause , arrestando quelle in moto , o , lasciando che il tutto si svolga liberamente , è pacatorio come possa evincersi l’esistenza di una sfera di signoria in cui l’individuo domini gli eventi , per cui , solo quelli rientranti nella sua sfera di controllo siano considerati da lui causati ; tale tesi è respingevole , poiché tralascia di tener conto che , anche , quelli effetti che , spesso , non si verificano , possono essere , e ,spesso , sono , da lui causati , ma,solo, quelli effetti che hanno una probabilità minima di verificarsi: gli eventi eccezionali .
Inoltre detta teoria non riesce ad esprimere un criterio discretivo tra l’effetto chiamato “ atipico” e il fatto “eccezionale” , perchè , sostenendo che è “ eccezionale” quel fattore che possiede una “ negabilità minima” di accadimento, significa appigliarsi al sostegno del canone dell’ ” adeguatezza” , nel senso che, viene considerato “ eccezionale” , quell’avvenimento che fuoriesce dalla “ possibilità di controllo dell’individuo”, esprimendo, in tal modo, una “tautologia” non smentibile.
Va messo conto, da ultimo, ma ,non, per ultimo, che il nesso causale tra condotta ed evento è escluso, immancabilmente, dall’interferenza di tali fattori, i quali possono sopravvenire, ma, anche, essere concomitanti e preesistenti ;
C ) adeguata: tale teoria è preferibile: essa considera causa la condotta umana che, oltre ad essere “ conditio sine qua non ” , risulta altresì - secondo un giudizio “ ex ante ” , rapportata al momento della condotta stessa - adeguata, ossia proporzionata all’evento ed idonea a determinare l’effetto sulla base dell’ “ id quod plerumque accidit ”. In tal senso , si è espressa la S . C . ( CC . 2000/5913 , “ ex multis “ ) affermando che, oltre alla previsione “ ex post ” , si richiede , come condizione indispensabile dell’evento dannoso , l’essere considerata con una previsione “ ex ante ”, ossia adeguata all’evento = ;
- il principio del nesso causale , regolato dal vigente codice penale , trova applicazione nel campo del diritto civile, essendo comune ad entrambe le discipline la ricerca della determinazione dell’esistenza del nesso eziologico tra l’azione o l’omissione e l’evento ( CC. 1968/1599 ) ;
- deve escludersi il nesso di causalità tra un fatto ed un evento dannoso , qualora si accerti che, anche in assenza di quel fatto, il danno si sarebbe egualmente verificato ( CC . 1976/2207 ) ;
- per affermare la responsabilità civile, la ricerca di un obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso deve essere compiuta solo nel caso di mera inerzia , e non ,anche , quando l’evento sia risultato dall’inserzione , in una sequenza causale avviata da altri , di un atto positivo del soggetto , seguito da inerzia; nel qual caso si deve , invece, accertare se e quale influenza abbia avuto quell’inserzione sul risultato dannoso conclusivo ( CC . 1972/3049 ) ;
- per quel che riguarda il profilo della cd. “ causalità incerta” , esso viene in rilievo tutte le volte in cui si indaga sul rapporto tra attitudine lesiva di un fatto e conseguenze verificatesi; in questo caso sovviene la necessità di allocare il danno, in modo funzionale e conveniente , in un equilibrato sforzo di bilanciamento di pesi e contrappesi , costi e benefici tra parte lesa e lesionante, soprattutto quando, magari, pare stridente la contraddizione tra la condotta e l’evento , sotto il profilo dell’anormalità del danno conseguenza. In questa fattispecie va applicata la regola secondo la quale è il danneggiante a doversi fare carico delle conseguenze dannose , anche inaspettate , che affliggono la persona offesa ( cd.“re ipsa loquitur”), anche quando l’evento dannoso finale sia condizionato , non importa se in misura sensibile , da altri fattori causali, estranei al danneggiante ed alla sua sfera di controllo (cd. sopportazione del peso dell’inaspettata gravità del danno, garantendo al danneggiato la conservazione dello stato preesistente all’illecito ) ;
- l’accertamento del nesso di causalità fra condotta illecita e l’evento dannoso, è devoluto al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in Cassazione , se sorretto da motivazione congrua ed immune da errori di diritto (CC. 1976/4422 , CC. 1975/2600, CC. 1974/1775 , CC., 1971/66 , CC. 1967/1950 ).
Ma “ qui cadit quaestio” : occorre non in senso “ parentetico” , ma , principale ed essenziale , scandire la primazia di quanto autoescluso dal circuito in cui situonsi i punti di “ polarizzazione “ che attraggono gli elementi surrichiamati , senza meno non dovendo misconoscere che :
- Lo Scrivente ritiene sia giustorio l’uso , in ambito civile dei criteri penalistici di accertamento del nesso causale, tornato in auge dopo la sentenza : C.Pen., SU , 2002/30328, conf. C.Pen., SU, 2006/12894, C.pen., 2003/1175) , il cui indirizzo , orientato in senso positivo (C.Pen., 2004/4400) , ha , visto un cambio di rotta per la rotta che il timone della S.C. ha impresso , con sent. CC. 2006/1755 . 
Invero il fatto generatore di evento è unico nella sua fenomenica rappresentazione e nella sua incidenza con il mondo del diritto, anche se diverse siano le conseguenze: civili, penali , amministrative, che la Legge ( nella persona del “ Legisferante “ ) riconnette ad esso, ma , la struttura della triade che invera l’ipotesi, giudizialmente accertanda , è unitaria.
Effettivamente colgonsi queste distinzioni:
-il diritto penale è basato sulla protezione dei beni giuridici , ritenuti rilevanti in senso” dinamico” , ossia nella misura in cui interessino la realtà sociale , inteso sotto l’aspetto dell’oggetto:
-giuridico formale = ( diritto dello Stato all’obbedienza delle proprie norme da parte dei cittadini ) =,
- giuridico sostanziale generico ( interesse dello Stato alla sicurezza della propria esistenza e conservazione )= ,
- giuridico sostanziale specifico ( corrispondente a quello del bene o interesse specificamente protetto dalla singola norma incriminatrice ) =,
- esso è fondato sul principio di “ sussidiarietà”, “ extrema ratio” per colpire l’illiceità della condotta del percusso ;
-il diritto penale ha carattere di “ frammentarietà”, nel senso che :
-non si rivolge contro ogni aggressione da qualsiasi parte proveniente ,
-non si limita a sussumere quanto è penalmente rilevante sotto una sfera più piccola rispetto a quanto è “ aliunde” qualificato come antigiuridico ,
- non coincide con quanto è moralmente o socialmente riprovevole ,
ma, soprattutto ,
- “ tipicizza” le fattispecie penalmente rilevanti in guisa che , secondo il principio di tassatività, procede impiegando la tecnica di redazione degli elementi descrittivi l’ipotesi contrassegnata da indici di reità ,
- il diritto civile , per contro ,
- non ha tipizzato i fatti illeciti , ma, ha scelto di fondarsi sulla nozione di danno come “ infra” spiegato ) ,
- per cui , in relazione al nesso di causalità in sede civile , come non far presente , che 
- non vale quanto vergato dal Guardasigilli nella relazione al Re , in punto art.41 2° co. C.P. , “ L’azione delle cause sopravvenute può considerarsi astrattamente , senza riferimento al fatto di cui si deve giudicare , ed allora è esatta l’espressione del progetto , ovvero può considerarsi concretamente cioè rispetto al fatto dedotto in giudizio , ed in tal caso più esatta è l’espressione preferita dalla Commissione . 
Se si trattasse , soltanto di una regola teorica , sarebbe indifferente usare l’una o l’altra espressione . 
Ma , siccome si tratta di una regola pratica , che deve essere tenuta presente dal giudice al momento del giudizio , così mi è sembrato più conveniente usare l’espressione ‘ siano state’ , l’indagine giudiziale dovendo essere fatta “ ex post” , cioè con riferimento al tempo ( necessariamente passato) in cui l’evento venne causato . In tal modo si elimina anche la possibilità che , per risolvere la questione , circa la potenzialità della causa a produrre l’evento , si guardi solo a ciò che avviene ordinariamente , senza tener conto della peculiarità del caso concreto che , invece , deve sempre avere preminente considerazione . Se invero nel caso concreto la causa è stata sufficiente a produrre l’evento, nulla importa che , rispetto ad altri casi, tempi o circostanze ,essa, invece , possa apparire insufficiente .“ ) .
A parere di Chi scrive bisogna far emergere come in sede di diritto civile non convivano queste coppie di significati :
-una che enuncia il principio secondo cui “ la possibilità teorica di un margine inevitabile di relatività non può , di per sè solo , invalidare un accertamento basato sulla corrispondenza di alcune affezioni ad un determinato meccanismo causale , in assenza di qualsiasi altra causa patogena ” (cfr. CC. 1982/3013, relativa al caso dell’improvviso scoppio di una bottiglietta di bevanda gassata consegnata dal barista al cliente; nella fattispecie si esige un’azione umana sufficiente e adeguata e tale da assorbire l’effetto causale degli altri antecedenti. Diversamente si esclude ogni responsabilità negli esempi nel caso in cu il pugno mortale inferto a chi mancava di parete cranica o della pozione di oppio propinata per fine illecito e che , per una particolare e non conosciuta idiosincrasia, determinò la morte ) non potendo essere ritenuti, alla stregua della comune valutazione delle cose , un pugno o una normale e innocua pozione di oppio causa dell’evento mortale.
Del resto, il codice vigente ha distinto la causalità materiale da quella giuridica: l’evento viene attribuito per intero al colpevole anche in concorso di altre cause (supposto che La Cass. ,in persona della Cassazione Penale : C . Pen . V , 2003/8748 , aveva ritenuto gravemente insufficiente e congetturale la motivazione del giudice di secondo grado che aveva ritenuto che “ la portata delle lesioni sulla morte da stress è davvero trascurabile e che “ il decesso con altissima verosimiglianza sarebbe avvenuto anche in assenza delle lesioni” osservando invece che “ i giudici dovevano accertare se la morte del S. che, nel corso della colluttazione col C. si era accasciato al suolo, fosse causalmente legata , seppur minimamente, alla condotta dell’imputato, accertata in sede di merito ( lite e lesioni alle mani, al collo, in regio occipitale, al volto) nel senso di avere la stessa concorso a determinare lo “schok “ che aveva -come ritenuto in sentenza- scatenato la crisi cardiaca fatale”. 
A riguardo vale il criterio discretivo per cui l’accertamento dei rispettivi apporti eziologici rileva nella causa del danno è evincibile “ laddove le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile dell’uomo non si presentano bastevoli ad ingenerare , senza l’apporto efficiente di questo , quella alterazione che costituisce l’evento di danno... allora , l’autore del comportamento attivo od omissivo , rimane responsabile per intero , di tutte le conseguenze scaturenti secondo normalità dell’evento medesimo “ (ibidem).
Se,invece “ quelle condizioni ambientali e quei fattori naturali , o, uno di essi , si palesano o si palesa sufficiente a determinare l’evento di danno a prescindere dall’apporto di un comportamento umano imputabile...allora l’autore della’azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto in essere alcuna antecedente dotato, in concreto, di efficienza causale “ (CC. 2001/2335, in tema di gravissimo stato di invalidità che affligge il minore dovuto anche ad un successivo fenomeno di asfissia al 34° giorno di vita, che non trova causa, secondo i giudici, nell’errore medico al momento del parto).
Va ricordato che l’alto grado di probabilità logica e di credibilità razionale trova applicazione in diritto penale in sede di infrazioni per omissione, nel mentre , in ambito civile , alberga laddove ripari l’ipotesi di illecito ( anche ) commissivo , per cui la verifica probabilistica può arrestarsi su soglie meno elevate di accertamento “ controfattuale “( CC. 2006/11755 , CC. 2005/11609).
Alla base del rapporto di inferenza causale resta , anche in diritto civile , fermo il “deontico” accertamento della :
- causa: che è l’antecedente che in modo unico possiede , per natura sua ( per così dire : “in re ipsa loquitur” ) , la reale virtù produttiva dell’evento considerato dalla legge : è l’antecedente che dà l’essere all’evento , per la sua intrinseca efficacia , per il suo influsso reale e fecondo; è ciò da cui l’evento intimamente dipende ,
- concausa : è l’antecedente che ha , solo ,parziale efficienza ,ossia di per sè insufficiente ,
- occasione : è il non essere l’antecedente produttore dell’evento..è essenziale alla pura occasione il semplice favorire o attrarre nei confronti della forza che in realtà genera l’ “ evento” .
Da ultimo, adunque , è buona norma concentrare, in diritto civile, lo sforzo “ verificatorio” sotto quell’ottica che sola, fa scorgere i lineamenti del nesso causale tra l’azione del danneggiante ed il pregiudizio subito dal danneggiato, poichè, in questo ambito, si tratta di vedere se, in caso di comportamento diverso da quello tenuto dal primo, si sarebbero verificati quei danni riportati dal secondo , ossia , più precisamente , se, in adesione al canone ermeneutico cd. del “ più probabile che non”, il quale assegna valore causale sufficiente all’occorso accadimento , così come disvelasi , nella realtà effettuale, alieno da interferenze esterne, non assunte , desunte , o , sussunte quali capaci di far deviare il corso dell’evento, sia possibile, finalmente , sciogliere il nodo interpretativo a riguardo ;
questo punto si interseca con l’analisi suespressa il dato dell’ “interpretazione dei fatti “ con quello del “ nesso di causalità “.
Osservasi, perciò, che una critica “ realistica “ del concetto di “ fatto “, nel momento in cui viene, dall’interprete giudiziale, esaminata nell’ambito del nesso di causalità tra condotta ed evento, lascia intravvedere il rischio che il medesimo superi la soglia di “ tollerabilità di impiego” , in sede di ricostruzione dei fatti: pertanto, per evitare che a tanto sconfini il Giudicante , occorre attenersi alla sola ricostruzione del fatto , delineata dall’attore a domanda , e obiettata dalla contradditrice, e , non ad una ricerca “ autonoma” del fatto: la strada è tracciata dall’art.99 e dall’art.163 C.P.C., ed in questa direttrice di marcia che il giudiziale vaglio non deve riconnettersi all’attribuzione di un qualche significato al “ fatto”, , quasi come se in discussione fosse la sommatoria di segno e “sema”, come se l’individuazione del lessema garantisse la soluzione dell’accertamento compiendo, bensì deve solo accertare, la “ verosimiglianza” del “ fatto” posto a fondamento della domanda ( o della controdomanda ) dalle rispettive parti in causa.
Per la verificazione del fatto il Giudicante ben può assestarsi allo stato “ epistemico”( che è l’insieme di proposizioni che dexscrivono lo stato delle conoscenze possibili o effettive di un soggetto in un momento, quasi come se venisse idealizzato uno stato conoscitivo umano , concreto), attraverso questo passaggio ( secondo i cd. “ flussi di conoscenza “ ) :
- il flusso presuppone uno stato iniziale , non uno qualsiasi, nè avvantaggiato da convincimenti ” certi”, bensì da uno stato di totale ignoranza cognitiva , che tramuterà ,solo , e , per l’effetto, dell’assunzione delle prove, in un insieme di convincimenti non erronei ( “ error free beliefs” ), che, mediante una sequenza logica di “ epistemi”, porta alla decisione giudiziale ;
- la dinamica fondamentale è quella della trasformazione e variazione degli stati: in tal modo un’ipotesi incerta, ossia una congettura, in attesa di essere riscontrata , si trasforma in un enunciato confermato o falsificato ;
-l’estensione , o “ expansion”, è la modalità di variazione , quando un “ input” , ossia una prova , fornisce informazioni o dati di conoscenza in base ai quali è confermata o falsificata ;
-la riduzione o “ contraction” , è , essenzialmente, una trasformazione contraria e simmetrica rispetto all’estensione, che implica una diminuzione del contenuto di uno stato “ epistemico”, e , che si verifica quando un convincimento, già esistente, relativamente ad un enunciato, viene eliminato da un nuovo “ imput”, ,sicchè l’enunciato , così come falcidiato, ritorna a ricoprire lo “ status” di ipotesi incerta (caso che si verifica quando un fatto è già stato oggetto di prova, positiva o negativa, sicchè la convinzione prima formatasi, a seguito dell’acquisizione di prova contraria, è stata decimata nella sua consistenza, fino a sbriciolarsi in inane consistenza ;
-revisione/restituzione: è la conseguenza che può scaturire da una riduzione seguita ad estensione, allorquando un nuovo e diverso convincimento sopraffà il precedente ( prova contraria infirma la valenza della risultanza precedentemente acquisita ),
-per cui la soluzione, che scongiuri il vietato “ non liquet ”, è data dallo stabilire uno stato “ epistemico” che è al contempo identico a quello iniziale = perchè riguarda i fatti rilevanti della medesima lite = nonché diverso = perchè gli enunciati relativi ad essa possono essere diversi e diverso può essere lo stato cognitivo .
Così dalle premesse incerte, il “ trier of fact ” è in grado di optare per quella che risponde ai canoni di 
-“ verosimiglianza”, la quale attiene ad una verificazione rinserrata sotto l’usbergo del canone del “ più probabile che non “ ,
-“ congruenza “ intesa come al rapporto che deve intercorre tra i fondamenti della decisione e i parametri che ne definiscono le condizioni di possibile inserimento ( in luogo del contrasto e dell’esclusione nel più generale contesto dell’ordinamento , senza che ciò implichi di derivazione logico-deduttiva delle premesse della decisione da questi parametri, “ standards ” o principii , visto la decisione può fondarsi su forme logiche variegate (secondo il “ background “, e le “ knowledges” già cennate ) .
In questa scia, infine, ben potrebbero incolonnarsi le componenti che accompagnano il processo fino al suo epilogo, laddove si staglia la sede del giudizio ove approda il Giudicante in tutto l’ “ iter “ del libero convincimento, in cui le “ generalizzazioni ordinarie”, ossia quei segmenti che compongono la linea interpretativa della decisione, non possono tralasciare ciò che è incorporato così saldamente nel sapere ( ossia tutto quanto è ricavato da esperienze condivise, apprendimenti culturali, insegnamenti didattici, sedimentazioni delle esperienze di vita ), al punto da evitare disaccordo tra esse. 
AVV. CLAUDIO CATTANI.