ERRORE DI FATTO ERRORE SUL FATTO

25.06.2014 12:08

Uno dei punti più controversi della dommatica penale attiene alla nozione eziologica dell’ ”errore”. Esso è compreso nell’ignoranza  e da questa differenziasi in ciò: il primo incarna una positiva divergenza fra una data realtà oggettiva e la sua rappresentazione soggettiva, così da determinare nel soggetto agente una falsa conoscenza della realtà, mentre  la seconda concerne l’assenza di rappresentazione circa una data realtà, così da implicare un “quid” negativo.

L’art.47 “Errore di fatto” recita: “L’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

L’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso.

L’errore su una legge diversa dalla  legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato.”.


L’errore di fatto è definito come difettosa ricostruzione o rappresentazione della realtà da parte dell’agente, tale che il dato volitivo del processo psichico risulti inficiato da quello intellettivo, in modo che il soggetto si determini ad operare sul presupposto di una realtà non corrispondente a quella effettiva (C.pen.1981, Giust.pen.81,720;C.14-12-1977,C.pen.79,55).

L’errore di fatto si assume debba cadere su un estremo materiale del reato, per cui qualora ogni aspetto della realtà sia stato percepito esattamente dal soggetto, l’errata interpretazione tecnica della realtà percepita non sarebbe valevole a discriminare né ad attenuare  la responsabilità (C.16-7-1980, Giust.pen.81,II,496,Conf. C.12-1-1981,ivi,81,II,273), differentemente, nel senso della possibile rilevanza di un errore tecnico qual è quello sull’efficienza dell’arma detenuta , si è espressa  la Corte di legittimità (cfr. Cass .pen.81/7115).

Oggetto dell’errore di fatto possono essere  sia gli elementi positivi del fatto materiale di reato (la condotta, gli elementi ad essa precedenti o concomitanti = caratteristiche del soggetto passivo, i presupposti, l’oggetto materiale, lo strumento o il mezzo, il tempo e il luogo della condotta =, l’evento, il nesso di causalità), sia gli elementi negativi del fatto =assenza di scriminanti=, come accade nell’erronea supposizione dell’esistenza di una scriminante.

Un problema di notevole spessore  pertiene l’onere della prova in tema di errore di fatto: i Giudici di legittimità divergono tra chi (Cass.7 novembre 1969,Ricciardi, Cass.pen.Mass.ann.1970,1478,m.2190) ritiene che la disposizione in esame, facendo venir meno il dolo, trasferisce a carico di chi assume la mancanza di tale requisito essenziale del reato, l’onere di di provare l’errore stesso,e,chi, al contrario, sostiene che,se l’errore non risulta completamente provato, l’accusa segue la sorte di ogni accusa, allorchè uno degli elementi del reato non è sufficientemente provato (Cass.18 febbraio 1954,P.M. c. De Mese, Giust.pen.1954,II,891).

Lo Scrivente condivide quest’ultima tesi, atteso che sia la legge costituzionale, sia la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo è in linea con il principio che sposta sulla pubblica accusa l’onere di provare gli elementi del reato su cui poggia l’affermazione di penale responsabilità (cfr. Roadmap on procedural rights del Consiglio d’Europa del 2009 laddove all’art.8 recita:” Nessuna disposizione della presente direttiva può essere interpretata in modo tale da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali offerti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali  e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea e da altre pertinenti disposizioni di diritto internazionale o della legislazione degli Stati membri che assicurano un livello di protezione più elevato”;vedasi,inoltre, sentenza CE Dombo Brevner c. Paesi Bassi del 27/10/1993, in Riv.internaz. diritti dell’uomo,1993,720).

La punibilità dell’agente non è esclusa ogniqualvolta il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo (cd. errore inescusabile), che richiede, per la sua  sussistenza la compresenza sia  della rimproverabilità della condotta, per violazione di una norma precauzionale imputabile all’agente, sia l’espressa previsione dalla legge come delitto colposo ( per es. risponderà di omicidio colposo colui che per iattanza o senza debite cautele esploda un colpo di pistola contro un ombra uccidendo una persona, mentre non va incontro a penale responsabilità il viaggiatore che, nello scendere dal treno, asporti un’altrui valigia, scambiandola con la propria, in quanto il reato di furto non è punibile a titolo di colpa).

In base al secondo comma dell’art.47 l’errore sul fatto che costituisce reato non esclude la punibilità per un reato diverso:per es. se l’agente ignora che il destinatario della violenza    è un pubblico ufficiale, risponderà del delitto di violenza privata(art.610 C.P.) e non già di resistenza a pubblico ufficiale (art.337 C.P.).

Qualora la disciplina dell’errore riguardi elementi degradanti il titolo di reato: per es. se un soggetto  che cagiona la morte di una persona, nella supposizione erronea che la vittima abbia prestato il suo consenso all’uccisione, deve essere accertato se il medesimo risponde di omicidio omicidio semplice ex art.575 C.P. ovvero omicidio del consenziente ex art. 579 C.P.; così  occorre stabilire se l’autore del fatto sia ascritto il reato più grave, poiché rileva la sussistenza degli estremi materiali e psicologici corrispondenti alla figura criminosa di fatto concretizzatasi anziché la mera rappresentazione , anche se aberrante dell’agente,o, di contro,se il dolo del reato meno grave inglobi in sé il dolo dell’illecito-base di maggior gravità, propendendo, così per l’applicazione della fattispecie meno grave.

Orbene,in assenza di espressa determinazione legislativa sul punto appare)   lecita l’applicazione analogica della  disciplina dell’errore sulle cause di giustificazione (art.59 c. 4 C.P.); infatti il discutibile ricorso all’analogia è  dettato dalla considerazione che l’ipotesi criminosa meno grave si attaglia meglio all’effettivo elemento psicologico dell’autore del fatto-reato.

L’errore sul fatto viene in rilievo ai sensi dell’ultimo comma del predetto art.47 C.P:, esso comporta una basilare diversità tra l’ipotesi in cui cagioni un errore sul fatto di per sé scusabile e, per contro, un errore extrapenale che si configura non in termini di errore sul fatto,e,di conseguenza non scusabile; in quest’ultimo frangente esso non può che consistere in un errore sul divieto, quindi, inescusabile.

La questione spinosa, vero “punctum dolens”,  è rappresentato dalla locuzione “legge extrapenale” che non “ deve essere richiamata” dalla stessa  norma penale.

Dopo fiumi d’inchiostro versati nel tempo trapassato, resta  arduo raggiungere una soluzione del problema in parola: l’indirizzo  meno recente afferma la possibilità di distinguere tra norma integratrici e non integratrici della legge penale, per cui, ai fini dell’errore, per norma penale è da intendersi “non soltanto quella  che stabilisce la punibilità di un determinato fatto, ma ogni altra norma, che pur essendo contenuta in una legge civile o amministrativa è richiamata da quella penale e la integra,determinando il precetto penale vero e proprio “(C.16-6-1961,R.it.d.proc.pen.61,224ss).

Può,propriamente,  essere considerata legge extrapenale solo una legge destinata in origine a regolare rapporti giuridici non di carattere penale che:

a)non sia richiamata in una norma penale né in essa esplicitamente o implicitamente incorporata(C.28-3-69, C.pen.mass.70,1300), b) non concorra a determinare il contenuto e le condizioni,c) non ne sia un presupposto (C.24-3-77, C.pen.Mass.78,987).

L’errore  extrapenale scusabile e scusante è solo quello che si risolva in  una falsa rappresentazione della fattispecie concreta, in modo tale da far apparire, agli occhi dell’agente, applicabile una normativa che invece non è operante per mancanza delle condizioni necessarie (C.11-10-72, C.pen.Mass.74,88).

La giurisprudenza più datata  ritiene errore sulla legge penale e quindi non scusabile:

l’errore opinione, nell’ipotesi di falso nummario che si tratti di monete non aventi corso legale (C.81/3841), l’errore del pubblico ufficiale circa i limiti dei propri poteri di disposizione del denaro pubblico, in relazione al peculato cd. per distrazione (C.26-3-1981), l’errore sulla legittimità di un’autorizzazione ricevuta (C.17-7-1980,R.pen.81), l’errore sulle norme che disciplinano il cd. presalario(C.11-4-78,R.dir.proc.pen.79,1173), l’errore sulla disciplina del matrimonio ai fini della bigamia (C.2-2-1982), l’errore sulle norme processuali concernenti il pignoramento o sequestro ai fini dell’art.33 (C.pen.Mass.68,1368,ivi 71,973).

Un successivo orientamento considera di natura penale  le disposizioni extrapenali cui la fattispecie incriminatrice fa rinvio (C.I,29/03/1985, in Giust.pen.,1987,II,105, C.III,15/06/1983,in Cass.pen.1985,84), quelle che ne costituiscono presupposto(C.III,27/10/1982, in Cass.pen.1984,674), quelle che determinano il contenuto  del precetto penale (C.27/10/1982, in Cass.pen.,1984,674).

La difficoltà interpretativa ancora lastrica il tragitto compiuto dalla giurisprudenza nel tempo: da un lato si sostiene che le norme disciplinanti l’iter amministrativo per il conseguimento dell’abilitazione sono recepite nella legge penale e di conseguenza l’errore sulle stesse non può essere invocato come scusabile (C.IV,28/11/1970,in Giust.pen.1971,II,846), dall’altro  si riscontra  la scusabilità di siffatto errore facendo leva sulla cd. “buona fede” (C.16/12/1964, in Cass.pen.1965,650).

I Giudici di terzo grado sostengono  che:

 i contratti collettivi di lavoro  aventi efficacia “erga omnes” non sono legge diversa dalla penale bensì legge penale, poiché le disposizioni della legge civile relativa allo stato delle persone sono richiamate e fatte proprie dall’art.567 cod.pen. con una forma di rinvio recettizio (Cass.3 luglio 1957, Marilungo, Giust.pen., 1957,II,709),

l’errore sulla interpretazione dell’art.-2094 cod.civ., che definisce il prestatore di lavoro subordinato, è, ai fini del mancato versamento dei contributi assicurativi, norma integrativa della norma penale e, come tale, non è idoneo ad escludere la colpevolezza dell’imputato(Cass.11 maggio 1956, Hecht Lucari, Riv.it.dir. e proc. Pen.,1956,649),

in materia di alterazione di stato non può essere invocato l’errore su una legge diversa da quella penale, poiché le disposizione della legge civile relative allo stato delle persone sono richiamate e fatte proprie dall’art.567 cod.pen. con una forma di rinvio recettizio (Cass.10 maggio 1955, Manganelli, Giust.pen.1956,II,50, m.5).

In tema di reati edilizi posti in essere nell’ignoranza della necessità del preventivo conseguimento dell’autorizzazione amministrativa all’uopo prescritta, la Cassazione è costante nel negare rilevanza alla buona fede (C. pen., III, 02/07/1980, in Cass.pen.1981,1632, C.III, 11/05/1979,in Cass.pen.1980,1445).

Analogamente è stato escluso l’errore scusante a proposito della buona fede dell’agente in relazione alla detenzione di un’arma che era stata reclamizzata  come pistola posta in vendita libera e senza formalità (C.I,23/01/1956,in Giust.pen.1956,II,319), in tema di emanazione di uno speciale provvedimento amministrativo per trasporto di oli minerali (C.06/06/1961, in Cass.pen.1962,113), di esercizio abusivo di lotteria (C.I,25/06/1952, In Giust.pen.1952,II,906), di agevolazioni tributarie per prodotti petroliferi (C.III,21/12/1982,  in Cass.1984/405), nell’ignoranza della necessità  di un atto legato ad un precedente provvedimento amministrativo in tema di esercizio  abusivo della caccia (C.III, 09/11/1950, in Giust.pen.,1951,II,712).

Di recente è stata negata la scusabilità nell’errore sulla demanialità dell’area occupata abusivamente (C.pen.14/05/2004,n.22813),così come in ordine alla mancata presentazione alla visita di leva per la sussistenza di una causa di dispensa dal servizio militare, suscettibile di operare,però, solo dopo l’adempimento del predetto onere (C.10/12/2003,n.1068),né in relazione allo svolgimento da parte di ostetriche in servizio presso un’azienda ospedaliera, di attività libero-professionale intramuraria, consistita nel prestare assistenza privata e remunerata al travaglio e al parto di puerpere ricoverate presso un ospedale (C.21/06/2007,n.35813),né in ordine alla mancata ottemperanza dell’obbligo imposto con il provvedimento del questore di comparire personalmente negli uffici della questura 20 e 80 minuti dopo l’inizio di tutte le partite di calcio, poiché l’imputato è tenuto ad osservare le previsioni del calendario di disputa degli incontri di calcio ed anche le relative variazioni (Trib.La Spezia 16/04/2010,n.386).

Allo stato le difficoltà interpretative della materia in parola  restano in tutta la loro portata, foriera  com’è,di antiche incertezze  e di  nuovi dubbi.

La  Corte Costituzionale ,nella monumentale sentenza n.364 del 24/03/1988, aveva scrutinato la questione di costituzionalità costituzionalità degli articoli 5,42,43 e 47 del codice penale dell’articolo 17,lett.b), della legge 28 gennaio 1977,n.10(Norme per l’edificabilità dei suoli), promossi con ordinanze rispettivamente del Pretore di Cingoli e del Pretore di Padova.Nella sua decisione (di portata storica in quanto per la prima volta riconosce valenza scriminante all’errore di diritto) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.5 c.p. “nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile” :

La questione atteneva a due diversi procedimenti penali.
Nel primo  gli imputati erano stati chiamati a rispondere della contravvenzione di cui all’art.17, lett. B), legge 28 gennaio 1977, n.10, per aver eseguito senza concessione edilizia notevoli opere di bonifica di un terreno agricolo e per finalità agricole, con esclusione d’ogni intento edificatori. A riguardo il Giudice remittente aveva sollevato la questione predetta ritenendo gli imputati meritevoli di proscioglimento poiché avevano creduto in buona fede, sulla base della giurisprudenza del Consiglio di Stato, di poter eseguire i lavori senza licenza.

Nel secondo l’imputato era stato tratto in giudizio per la contravvenzione di cui all’art.666 cod.pen., per avere senza licenza detenuto e fatto funzionare nel suo bar un apparecchio radio,un videogame red un flipper: in merito il Pretore osservava come l’imputato avesse “creduto in buona fede che per la radio non fosse necessaria la licenza e che per gli altri apparecchi la situazione fosse regfolare, essendo stato indotto in tale errore sia dall’oscurità delle norme in tema di licenza per apparecchi radiofonici sia dalle assicurazioni verbalmente fornitegli da funzionari comunali.

Le ordinanze in epigrafe  proponendo  analoghe questione comportavano la riunione di tutti i giudizi sicchè le stesse questioni  potevano essere decise con unica sentenza.

 Leggesi nella motivazione del  Giudice delle leggi  quanto segue:

”gli opposti principi dell’assoluta irrilevanza o dell’assoluta rilevanza dell’ignoranza della legge penale non trovano valido fondamento:ove, infatti, s’accettasse il principio dell’assoluta irrilevanza dell’ignoranza della legge penale si darebbe incondizionata prevalenza alla tutela dei beni giuridici a scapito della libertà e dignità della persona umana, costretta a subire la pena ( la più grave delle sanzioni giuridiche) anche per comportamenti (allorchè l’ignoranza della legge sia inevitabile) non implicanti consapevole ribellione o trascuratezza nei confronti dell’ordinamento; ove,invece, si sostenesse l’opposto principio dell’assoluta scusabilità della predetta ignoranza, l’indubbio rispetto della persona umana condurrebbe purtroppo ..a rimettere alla variabile “psicologia” dei singoli la tutela di beni che, per essere tutelati penalmente, si suppone siano fondamentali per la società e per l’ordinamento giuridico statale...Sul piano metodologico va osservato che non è prospettiva producente ed esaustiva quella che esamini il tema dell’ignoranza della legge penale considerando il solo “istante” nel quale il soggetto oggettivamente viola la legge penale nell’ignoranza della medesima . E’ indispensabile, infatti, non trascurare le “cause”, remote e prossime, della predetta ignoranza e, pertanto, estendere l’indagine al preliminare stato delle relazioni tra ordinamento giuridico e soggetti ed in particolare ai rapporti tra l’ordinamento, quale soggetto attivo dei processi di socializzazione di cui all’art.3, secondo comma, Cost. ed autore  del fatto illecito.”.

Di seguito la  questione si è,ancor più , complicata: termini linguistici come globalizzazione e mondialismo hanno travalicato le barriere dell’economia  pervadendo il dato etologico (studio del comportamento umano) così rilevante sul piano giuridico.

Per questo  il diritto,dinamico per definizione , e,perciò, incline ad intervenire sui dati cangianti la realtà sociale, viene a misurarsi con i  reati cd.”culturalmente orientati” laddove quest’ultimi rilevano in ordine al trattamento da assegnare agli immigrarti che trasgrediscano la legge.

Da un lato si oppone come le regole culturali dello straniero ricadano nella nozione di cui all’art.51 C.P.(Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”),per cui la condotta conforme a quelle regole, sebbene contrastante con l’ordinamento penale, può considerarsi scriminata, poichè l’autore del fatto non percepisce il disvalore insito nella fattispecie violata, per cui non è punibile per difetto di dolo, dall’altro si ritiene inaccettabile (secondo l’orientamento della Cassazione)una soluzione di tal fatta, giacchè attribuendo valenza giustificatrice o scusante alla diversità culturale,verrebbe leso il principio di uguaglianza (art.3 Cost.), quello dell’obbligatorietà della legge (art.5 c.p.) oltre a quello della territorialità (art.4 C.P.).

In tal modo i Giudici di legittimità confinano la valenza del dato culturale nello stretto ambito della irrogazione della pena, mitigando quest’ultima in sede di gravità del reato e valutazione della pena (art.133 c.p.) sotto il profilo di una minore intensità del dolo (Cass.46300/2008).

Successivamente  la Suprema Corte mostrava una parziale apertura sul punto, ritenendo incolpevole l’ignoranza della legge penale da parte di un’immigrata nigeriana che aveva personalmente circonciso il proprio figlio neonato: in tale pronuncia i Giudici di terzo grado  sancivano come, in virtù del livello culturale della donna nonché in dipendenza della di lei  tradizione etica , fosse da considerarsi “inevitabile” l’errore di diritto a lei attribuito (C.43646/2011).

Però, successivamente, la Suprema Corte ritornava  sulla precedente posizione giurisprudenza, affermando l’irrilevanza dell’ “error iuris” tutte le volte che quest’ultimo abbia determinato  una palese violazione dei diritti essenziali ed inviolabili dell’uomo (C.12089/2012).

Così in una pronuncia  (C.pen.,V,29/11/2011,n.44107), in ordine al ricorso dell’imputata cui  è  stato contestato   il reato ex art.19,commi 1 e 2 della l.194/1978,  che prevede la sanzione penale per chi cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate dagli artt.5 e 8  relative al necessario intervento della struttura socio-sanitaria nel tracciare il percorso dapprima psicologico e poi medico che la donna che intende abortire è tenuta a seguire, la  Corte così motiva:

“Si è osservato anche in proposito, da parte della giurisprudenza di questa Corte, che la coscienza dell’antigiuridicità o dell’antisocialità della condotta, non è una componente del dolo, per la cui sussistenza è necessario soltanto che l’agente abbia la coscienza e volontà di commettere una determinata azione. D’altra parte, essendo la conoscenza della legge penale  presunta dall’art.5 c.p., quando l’agente abbia posto in essere coscientemente e con volontà libera un fatto vietato dalla legge penale, il dolo deve essere ritenuto sussistente, senza che sia necessaria la consapevolezza dell’agente di compiere un’azione illegittima o antisociale sia nel senso di consapevolezza della contrarietà alla legge penale sia nel senso di contrarietà con i fini della comunità organizzata (rv236432). Del tutto improprio appare dunque il richiamo della difesa all’art.47 c.p. è norma che regola il caso dell’errore sulla legge diversa da quella penale, tale potendosi considerare non quella in contestazione ma solo quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente in una norma penale o da questa non richiamata anche implicitamente (vedi in tal senso rv 169820).”.

    In diversa decisione i Giudici di legittimità vagliavano il ricorso avverso la pronuncia della Corte di Appello di Torino che confermava la sentenza del Tribunale di Novara condannando gli imputati alla pena di giorni di arresto ed Euro 800,00 di ammenda, quali responsabili, in concorso di circostanze generiche, del reato di cui all’art. 163 decreto legislativo n. 490 del 1999,per avere, in concorso tra loro, il primo quale proprietario ed il secondo quale esecutore delle opere, effettuato lavori di dissodamento, livellamento e sradicamento di ceppaie sul terreno coperto di boschi di mq 4500.

Nella motivazione la Corte “a quo” ritenne  che  l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale, riconosciuto in determinate circostanze dalla sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale, non costituisce una causa indiscriminata di scusabilità, ma deriva da particolari situazioni in cui il predetto errore diventa inevitabile. Nella fattispecie l’ignoranza inevitabile della legge non può essere invocata perché colui il quale intraprende un’ attività ha l’obbligo di informarsi con diligenza sulla normativa che disciplina quell’attività e,nel caso di dubbio, di astenersi dal porre in essere la condotta (cfr.Cass. 28397 del 2004). L’assenso al taglio del bosco da parte degli agenti del Corpo forestale, dedotto come causa dell’errore, riguarda il taglio del legname in un bosco ceduo che è cosa diversa dall’estirpazione delle ceppaie e quindi non può  giustificare la condotta ascritta agli imputati.”.

In altra decisione   (C.pen., II, 10/05/2012 n. 23230) la Suprema Corte è giunta a conclusioni diametralmente opposte:in un’impugnazione avverso la condanna per il reato di cui agli artt. 5 e 16 L. 08/02/1948,n.47, per aver intrapreso la pubblicazione del giornale di informazione civile, denominato “Accade in Siciia” e diffuso in via telematica sul sito www.Accadeinsicilia.nert, senza che fosse intervenuta tempestiva registrazione presso la cancelleria del tribunale di Modica, fatti commessi dal 16/12/2003 al 07/12/2004, e condannato alla pena di euro 150,00 di multa, la  Suprema Corte,investita del gravame, in via subordinata, anche sotto il profilo della non punibilità “..stante l’incertezza interpretativa in ordine alla normativa de qua” ricorrendo “ nella fattispecie l’errore scusabile su legge extrapenale di cui all’art.47, comma terzo, cod.pen., con conseguente esclusione della punibilità..”,accoglie  l’impugnazione in via principale  assolvendo il Ricorrente per insussistenza del fatto.

Infine, in relazione alla scusabilità dell’errore di diritto, va segnalata la sentenza della Corte europea di diritti dell’uomo   Seconda Sezione del 29/10/2013 (Ricorso n. 17475/09) relativo ad un ricorso di un cittadino italiano contro la Repubblica italiana ex art.34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a seguito di sentenza della Cassazione 11/06/2008, che confermava quella della Corte d’appello di Bari del 23/03/2006 che aveva dichiarato non luogo a procedere per estinzione dei reati per prescrizione ritenendo obbligatoria l’inflizione della confisca sia in caso di assoluzione nel merito (ad eccezione della formula il fatto non sussiste) sia in caso di prescrizione  se il piano di lottizzazione contrastava oggettivamente con alcune norme in materia di assetto del territorio, considerando, nel caso in trattazione, come la variante in un piano di lottizzazione avrebbe dovuto ottenere l’autorizzazione regionale prima del rilascio dei permessi a costruire.

In quella sede la Corte europea esaminò la questione relativa ala scusabilità dell’errore (di cui all’art.5 Cod.Pen. siccome modificato dalla declara della Consulta n.364 del 1988) affermando tra l’altro che“..la legge deve definire chiaramente i reati e le pene applicabili (Archour c. Francia,n.67335/01).

Questa condizione è soddisfatta quando la persona sottoposta a giudizio può sapere, a partire dalla formulazione della norma pertinente e, se necessario, con l’interpretazione data dai tribunali, quali atti e omissioni implichino la sua responsabilità penale..

La nozione di “diritto” (“law”) usata nell’articolo 7 corrisponde a quello di “legge” che figura in altri articoli della Convenzione:essa comprende il diritto d’origine sia legislativa sia giurisprudenziale e implica delle condizioni qualitative, tra cui quella dell’accessibilità e della prevedibilità (Cantoni c. Francia 15/11/1996), Kokkinakis c. Grecia 25/05/1993). Per quanto chiara  possa essere  la formulazione di una norma legale, in qualunque sistema giuridico, compreso il diritto penale, esiste immancabilmente un elemento d’interpretazione giuridica. Sarà sempre necessario delucidare i punti dubbi e adattarsi alle mutate situazioni. Tra l’altro, è saldamente stabilito nella tradizione giuridica degli Stati parte alla Convenzione che la giurisprudenza, in quanto fonte del diritto, contribuisce necessariamente alla progressiva evoluzione del diritto penale. Non si può interpretare l’articolo 7 della Convenzione come una norma che vieta il graduale chiarimento delle norme della responsabilità penale attraverso l’interpretazione giuridica da una causa all’altra, a condizione che il risultato sia coerente con la sostanza del reato e ragionevolmente prevedibile (Sreletz, Kessler e Krenz c. Germania 34044/96, 35532/97 e 44804/98).

La portata del concetto di prevedibilità dipende in gran parte dal contenuto del testo di cui si tratta, dell’ambito interessato nonché dal numero e dalla qualità dei suoi destinatari. La prevedibilità di una legge non si contrappone al fatto che la persona  interessata sia portata ad avvalersi di consigli illuminati  per valutare, a un livello ragionevole nelle circostanze della causa, le conseguenze che possono derivare da un determinato fatto. Questo vale in particolare per i professionisti, abituati a dover dare prova di grande prudenza nell’esercizio del loro lavoro. Perciò ci si può aspettare che essi valutino con particolare attenzione i rischi che esso comporta (Pessino c. Francia.n.40403/02,10/10/2006).”.

In conclusione  soltanto un’indagine   caso per caso può stabilire se l’errore sulla legge extrapenale  si limiti esclusivamente ad un errore sul precetto o si traduca pure in un errore sul fatto, ossia  se l’errore sulla legge extrapenale comporti un errore sulla fattispecie legale di cui alla disposizione di legge incriminatrice o se, invece, determini un errore sul fatto ontologicamente identico a quello prodotto da un errore di fatto.

                                  AVV. CLAUDIO CATTANI.